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Alimentazione quotidiana e alimentazione festiva a Castelluccio di Norcia
Alimentazione Festiva

Da quello che è emerso dalle interviste, ho potuto constatare che oltre alle grandi ricorrenze religiose a Castelluccio le feste erano poco numerose e poco solenni. L’alimentazione in questi giorni non subisce grandi mutamenti. La diversità è nella presenza della carne, quasi sempre carne ovina, e nel fatto di trovarsi tutti insieme. Il cibo nelle feste assume un significato di fratellanza e di amicizia ; si sente il bisogno di condividere con gli altri alcuni momenti fondamentali della vita.

...si ma le feste ne facevamo poche, niente, mica se faceva niente, po darsi che se ballava in una casa, così (Lucia Cappelli)

Per l’Epifania, da quanto si può constatare dalle interviste, non si faceva nulla di speciale, si festeggiava confezionando dei dolcetti che poi venivano regalati ai bambini.

...invece pe la Befana se facevano le ciambellette pe li regazzini, se ne facevano una ventina, una trentina. Ognuno je dava una ciambelletta e alla fine se ne facevano una canestra. Li regazzini partivano, giravano pe li parenti e rimediavano ste pizzette, castagne, je davano dolci, mele, sta roba che c’avevano (Erminia Pasqua)

...invece per la befana facevamo le ciambellette, poi se davano all’altri regazzini, loro le davano a te, questi erano li regali mica come mò, li sordi non c’erano. Poi se facevano un bamboccetto de pasta, una treccia, una manina, questa era la befana (Maddalena Conti)

...per la Befana, facevamo le ciambelline, pe i figli, una ciambellina, due noci, ma mica le caramelle, li cioccolatini come oggi, ma che befana che era ! pareva che c’avevamo il mondo (Benedetta Brandimarte)

Sant’Antonio, da quello che si deduce dalle interviste, come Santa Scolastica era particolarmente amato dai Castellucciani,. Nelle masserie per la benedizione degli animali, era il prete che andava dalle bestie e non il contrario. A Castelluccio invece si usava accendere un fuoco in onore del Santo protettore degli animali.

...per Sant ‘Antonio che succedeva, siccome giù ci stavano le campagne, allora partiva, te lo faceva sapè per tempo, il parroco della zona con i chierichetti. Veniva sul posto e li benediva, vacche, pecore. Non è che se portavano le bestie lì a la festa, era lui che veniva dalle bestie. Je davi un recompenso, una ricottella, una forma de cacio, dieci ova perché sempre c’avevamo le galline. A Castelluccio c’è una chiesa abbastanza grande, alla destra ce sta Sant’Antonio col maialetto. Allora pe Sant’Antonio a un regazzino de dieci, undici anni, su sopra je facevi trovà la salsicciola. La vigilia facevano giù la piazza un foco grande e allora a li fiji je se diceva "lo vedi Sant’Antonio se stà a arrostì un maialetto, mò domani te da la sarsicciola". Allora je mettevamo dietro alla statua sta sarsicciola e je se diceva "vedi Sant’Antonio t’ha portato sta sarsicciola", però solo ai bambini buoni (Rosi Testa)

A Norcia nel convento monacale di Sant’Antonio, i festeggiamenti del Santo erano vissuti con profonda partecipazione. La festa è ancora sentita dalla popolazione anche se si è persa l’antica devozione.

...si cerca di mantenere la tradizione delle feste, però oggi sono diverse, non sono più sentite come una volta. Anche la festa di Sant’ Antonio, che è la più importante per il nostro convento, non è più come una volta
(Suor Caterina Corona)

In passato si facevano delle offerte al Santo, in segno di fede, soprattutto da parte di coloro che possedevano delle bestie dalle quali traevano sostentamenti economici. In cambio le suore del convento regalavano le collanine di Sant ‘Antonio ed offrivano un pranzo ai pastori.

...in passato si usava fare delle offerte al Santo, soprattutto da parte di quelle persone che dipendevano economicamente dalle bestie ; portavano, in segno di devozione, dei ceri a Sant’Antonio, e in cambio le suore regalavano queste collanine. Oggi la gente viene e le compra, è più un commercio che un rito religioso, non c’è più devozione, ma è anche vero che oggi le bestie non hanno più l’importanza che avevano prima. Quella delle collanine di Sant’Antronio è un’usanza molto antica che si è trasmessa nel nostro convento per via orale. Un tempo però c’erano due tipi di collanine ; un tipo erano più dure a tal punto che si diceva che quelle fossero attaccate con lo sputo. Quelle del secondo tipo erano più buone, anche più morbide, e sono quelle che si trovano oggi, quelle che si sono tramandate. Queste erano per le persone, per le bestie invece, c’erano delle pagnottine salate che venivano benedette e che si davano alle bestie. La domenica successiva alla festa di Sant’Antonio, si usa fare il pranzo dei pastori, oggi sono più in pochi a farlo. Ci sono dei santesi che durante la settimana, passano dai pastori che offrono, mettono a disposizione delle agnelle, femmine, perché devono essere utilizzate per la riproduzione. Di pomeriggio si fa un’asta, alla quale può partecipare chiunque, dove possono essere acquistate queste agnelle. Il ricavato di questa vendita va al monastero di Sant’Antonio, e in cambio le suore offrono un pranzo, per ringraziare, per stare tutti insieme. Il pranzo consiste soprattutto in agnello, pasta, contorno, poi alla fine il dolce. Si usava anche che i pastori destinavano l’agnello che doveva nascere intorno al diciassette, a Sant’Antonio, sempre come segno di devozione. Una volta nacque una bella pecorella ad un pastore il quale, dopo averla vista, non voleva più donarla al monastero. Quindi la cambia con un’altra meno bella ; il giorno dopo la pecora bella fu ritrovata morta
(Suor Caterina Corona)

...per Sant’Antonio ce stava sempre l’usanza che allora otto, dieci pecore infiocchettate o verniciate a colori con la vernice, se portavano a benedì. C’è l’usanza che le suore di Sant’Antonio fanno ste pastarelle, tutti sti dolci, la gente va lì e le compra. Prima era differente, gli scambi erano sempre in natura, te je portavi una cosa e loro te ne davano un’altra, i sordi giravano poco. Se facevano le rosichelle, prima se facevano proprio quelle dure che spezzavano li denti (Americo Salvucci)

Dalle interviste è emerso che la Quaresima era un periodo di ulteriori sacrifici e di rinunce anche dal punto di vista alimentare, soprattutto per le donne.

...la Quaresima erano li quaranta giorni che non se doveva mangià maiale, carne, niente. Quello era proprio un diritto ; li venerdi sempre vigilia e digiuno. Chi se lo poteva permette, chi lavorava, tanti non ce resistevano. Tanto la Quaresima era, maggiormente, sempre pe le donne perché ancora l’omini tornavano pe la Pasqua. Potevi mangià formaggio, ricotta, alici. Mica tanto perché a Castelluccio il pesce se mangiava poco, mica ce sta il mare. Sempre quello mangiavi ovi, pane e olio (Anna Perla)

La Pasqua, invece era una ricorrenza religiosa più sentita ed attesa ; la ristrettezza della Quaresima era giunta al termine, gli uomini tornavano dalle Maremme, le famiglie finalmente si riunivano. Si facevano le pizze di Pasqua, ogni donna le preparava per proprio conto, poi si portavano a cuocere nel forno comune.

...a Pasqua il cibo assume un significato particolare. Innanzitutto a colazione si mangiano le uova, la pizza di Pasqua con il salame dopo aver benedetto tutto. Tutto assume più significato perché durante la Quaresima non si possono mangiare nemmeno le uova, quindi nel periodo di Pasqua anche un uovo è molto. Anche perché ha un significato preciso ; l’uovo è il simbolo della vita. Mentre il salame si mangia a Pasqua perché ormai è stagionato e quindi si può mangiare soprattutto con la pizza dolce (Suor Caterina Corona)

...pe Pasqua se facevano le pizze de Pasqua, dolci le facevamo. Ognuno le faceva a casa sua. Doppo però c’era lu forno che era de tutti, annavi là e cocevi le pizze. Per Pasqua non se pagava niente, quell’ altri giorni se pagava pe fa lo pane (Luisa Amici)

Da quello che è stato riferito nelle interviste si può notare che l’alimentazione nel periodo pasquale era più ricca ed abbondante, finita la Quaresima si tornava a mangiare la carne.

...dopo a Pasqua, invece se ammazzava l’agnello, ritornavano li pastori ; la transumagna ritornava a Castelluccio e allora era Pasqua, era festa per tutti. Se facevano i pranzi come oggi, beh come oggi no perché oggi tutti li giorni è festa, però s’ammazzava l’agnello, se faceva la pizza de Pasqua fatta a casa. E cosi era co le pizze, era uguale quanno che a Pasqua se facevano queste pizze, questa scaldava il forno e tutte quante annavano su, fino a che c’entravano l’addentro ; solo che a Pasqua non se pagava. Però la preparazione ognuno la faceva a modo suo, era na pizza semplice come fosse un ciambellone però se faceva col lievito. Era dolce, non ce usavano le pizze de formaggio a Castelluccio, poi non piace a nessuno perché non ce usa. Poi dopo il Sabato Santo che passava il prete per la benedizione allora se benediceva questa pizza, il salame, na buttiglia de vino, l’ova. Ognuno a casa sua, non ce usavano pizzeria, non ce usava niente. La mattina de Pasqua se mangiavano li ovi lessi benedetti, e se ne lessavano tante de ova, venti, trenta, poi le regalavi a li bambini che le coloravano e poi se ne andavano giu al Piano, era il divertimento loro perché mica c’avevano l’ovi de cioccolato. Allora quest’ovi li tiravano come se gioca a pallone, li tiravano, chi arrivava primo vinceva e se piava quello del compagno. Prima l’ovi lessi, poi se faceva la frittata o co le interiori, budelletta dell’agnello e il sangue e senno se faceva co la mentuccia, questa era la colazione (Anna Perla)

...si se facevano le pizze de Pasqua, ma le faceva chi poteva, tanti non le facevano. Erano dolci, pure col formaggio (Benedetta Brandimarte)

...per Pasqua se facevano le pizze, le ciambelle, l’ovi colorati attorno, da li regazzini. Quanto era bello, mo che c’aripenso, adesso se sta male sah ! Adesso stamo bene e invece se sta male. C’era tanta tranquillità, tanta gioia da esse contenti, da esse soddisfatti de quello che facevi. Adesso non più, non va più bene (Erminia Pasqua)

A Norcia le pizze di Pasqua si facevano sia dolci che con il formaggio. La preparazione veniva fatta da piccoli gruppi di donne che passavano l’intera notte a controllare la lievitazione dell’impasto e la temperatura del forno.

...poi per Pasqua c’era sta usanza delle pizze. Il sabato santo passava il prete pe benedì le case, le pizze, l’ova. Le pizze era un lavoro, mamma l’ho vista tante volte che le preparava. Prima de tutto ce dovevi ave l’arca, prima su una casa ce dovevi avè l’arca pe potè fa ste cose. Allora le impastavi la sera e poi doppo se passava tutta la notte svegli perché dopo quanno che la mattina, là per le quattro de mattina, se erano revenute de lievito, e poi venivano messe dentro li sesti, e li dopo c’era qualcuna che se levava lo sfizio de ricamalle co la chiara dell’ovo, ce scriveva buona Pasqua, oppure ce scriveva è risorto il Signore. Poi dopo se benedivano l’ova sode, quelle se coloravano, annavano benedette insieme alla pizza, quanno passava il prete, il salame andava benedetto, il vino. Se apparecchiava una tavola, passava sto prete che le benediva. Le donne se aiutavano, tante volte due persone dicevano famo insieme, però passavano la notte a fa ste pizze e poi a coprille co le coperte, senno se freddavano perché prima mica c’erano i termosifoni, allora ste pizze le coprivano co le coperte. Poi c’era anche una certa rivalità a chi le faceva mejo, più belle. S’usava che quella notte passava così, dovevi vedè quanno erano tornate su de levito. Doppo appena che erano cresciute, che funzionavano, s’accendeva il forno a legna e lì allora doveva collimà tutto, diciamo come una cosa cronologica ; le pizze erano pronte, allora pure il forno doveva esse pronto, però doveva essece una certa caloria, che non c’erano i termostati, se faceva co le mani, dovevi sapè fa funzionà sto forno. Quanno vedevano che era troppo alto ce buttavano la cenere, oppure aspettavano un pochetto, tante volte ste pizze je venivano pure male. Ce facevano il segno della croce quanno che impastavano, quanno che le mettevano dentro il forno, qui da noi erano piucchealtro dolci
(Americo Salvucci)

Il due luglio a Castelluccio si festeggia la Madonna della Cona (icona), in passato ci si andava con i cavalli. Partivano due processioni, una da Gualdo ed una da Castelluccio, arrivate sotto la chiesetta le due popolazioni si univano. Finite le funzioni sacre si pranzava all’aperto, sui prati. Era una festa di comunione dove rinsaldare i rapporti umani.

...quella è de tanti anni, proprio dell’antenati. È come una cunetta, una grotticella co dentro una Madonnina, come quella de Loreto, sta poco dopo Castelluccio, al pian Perduto. Se festeggia il due luglio, prima se festeggiava tanto, mò ce vanno uguale ma de meno, ma prima se faceva come il pic nic in campagna. Là se faceva la messa, venivano due processioni, una partiva da Castelluccio e una veniva da Gualdo e lì se incontravano. Poi lì dicevano stà messa, sti due preti uniti e lì se mangiava in campagna. Poi se ritornava co la processione ( Maddalena Conti )

...questa sarebbe stata il due di luglio, e era la più bella festa de Castelluccio perché se riunivano tutti quelli de Castelluccio, sia quelli che erano emigrati, sia quelli a Roma. Se facevano li supplì, chi faceva li gravioli co la ricotta, con l’archemmes, poi li lessavano e ce mettevano il parmigiano e il sugo. Sennò li facevi dolci, li friggevi e sopra ce mettevi lo zuccaro e l’archemmes. Adesso non esiste più questa tradizione, prima era una cosa pe ritrovasse, pe sta tutti insieme (Giannina Argenti)

Per le feste natalizie le famiglie erano separate, gli uomini erano nelle Maremme in transumanza, e questo periodo, pur essendo importante dal punto di vista religioso, trascorreva senza particolari festeggiamenti.

...il periodo mio, Giovanni è venuto tutti l’anni a fa Natale, il periodo de papà, papà annava via e non ritornava (Eligia Testa)

...il Natale lo passavamo lì, giù le Maremme, eravamo tutti ommini, senza femmine. Allora a quell’epoca, gli abbacchi se ammazzavano lì attorno alla capanna, ai pecorari je appartenevano lo sfritticcio, chiamato. Sarebbe stato lo sangue dell’abbacchio, le animelle, stanno qui sul collo, queste ce le friggevamo e ce le mangiavamo (Luca Bertoni)

...quanno era Natale e Capodanno eravamo soprattutto donne e bambini, ognuno a casa sua, non se organizzavano cenoni. Doppo se organizzava una riunione fra ragazze, se annava tutte in una casa a giocà, a fa tombola, a ballà, non ce stava niente de speciale, nemmeno per il mangià, c’erano le lenticchie (Erminia Pasqua)

Per la vigilia di Natale si dovevano cucinare dodici pietanze, come dodici erano gli Apostoli. Il fatto è che, nonostante il numero copioso delle portate, si può notare che la quantità del cibo era sempre la stessa visto che anche l’acqua veniva considerata come una pietanza. Naturalmente la carne era bandita.

...per le feste si faceva quello che si fa adesso. L’ommini stavano quasi tutti fori, facevamo la vigilia de Natale, se faceva la pastasciutta de magro, un po’ de pesce, l’alici un po’ de baccalà, un po’ de broccolo fritto dorato. Però dovevano esse dodici pietanze, per esempio se faceva un arancio era una, una mela un’altra, una noce, una castagna, ecco com’era. Erano dodici perché dovevano esse come li dodici apostoli, diceva la pora nonna, de tutte le qualità, però sempre senza carne (Maddalena Conti)

...per Natale se facevano dodici pietanze no, era una tradizione, quella era una festa riconosciuta, allora se faceva un po’ più distinta da quell’altre feste, a Natale dodici pietanze però era che il mandarino era una pietanza, il vino era una pietanza, la pasta, la verdura era una pietanza. Quello proprio che era da mangià, era poco (Sirio Coccia)

...eravamo noi, tutto se faceva, nonna diceva sempre che pe il pranzo de la vigilia de Natale dodici pietanze ce volevano, però contava tutto. Se faceva il cavolo fiore fritto dorato, il baccalà fritto dorato, le castagne rosse lessate su la pila, quelle sbucciate però. La carota quella rossa però, le alici, tutto però dovevano esse dodici pietanze, e questo era pe la vigilia, dodici pietanze come i dodici apostoli. Tutte le famiglie così, tutto il paese, poi doppo se annava a la messa, se non c’era la neve (Eligia Testa)

...per la vigilia de Natale se dovevano fa dodici pietanze, diciamo dal vino all’acqua so tutte pietanze, allora le castagne erano una pietanza, il baccalà, il cavolfiore fritto, l’alici erano tutte pietanze (Giannina Argenti)

La vigilia di Natale si faceva il "ceppo di Natale". Il capofamiglia versava su un ceppo acceso nel camino del vino e alcuni cibi ; nel frattempo i bambini venivano distratti perché dovevano credere che quelle pietanze fossero uscite dal ceppo ardente.

...poi, per esempio, pe Natale invece se faceva una cosetta un po’ più no....allora se ammazzavano i piccioni, ce stava il pollo, se facevano i maccheroni co le noci, invece da esse come le tajatelle, rimangono rotondi e quelli venivano fatti co le noci, erano una novità che se facevano solo pe Natale. Ci stava l’usanza de lu ceppo de Natale che te mettevi lì, poi magari ogni tanto te cacciava giù un mandarino, un arancio. Allora se trovava un grande ceppo e la Vigilia de Natale se metteva sul foco. Mo se diceva "bisogna fa cacà il ceppo", allora se te davano un arancio, un mandarino era una cosa de lusso, mica come adesso. Allora cantavi "caca, caca ceppo che è nato Gesù Cristo, la notte de Natale viva viva lu principale" e daje a cantà, e ogni tanto te scappava fori un mandarino, n’arancio. Era che un momento che te distraevano, c’era uno che metteva ste cose sotto lu ceppo
(Americo Salvucci)

Per la fine dell’anno si mangiavano cibi che si credeva portassero fortuna e denaro, come l’uva, la lenticchia e le "pizzette ricamate con il ditale".

...per Capodanno uguale sempre le lenticchie diciamo come oggi, dato che stavano le femmine sole se facevano le pizze salate e poi, col ditale se facevano tutti buchetti, la forma del ditale. Te risultava che erano tutti sordi, che l’anno prossimo dovevi contà tanti sordi. Eravamo solo noi donne, ce riunivamo la sera, se faceva la veja, ce raccontavamo le cose (Anna Perla)

...per Capodanno facevi le pizzecche co li detali, prendevi li detali e facevi come un ricamo, un disegno. La lenticchia si, se magnava pe contà li sordi. Anche l’uva ce usava, per Capodanno, l’uva dell’autunno che pigliavamo a Arquata, se teneva appiccata, a ottobre e se manteneva fino a maggio, era bona, come appena colta (Caterina Cappelli)

...se facevano le pizzette co li ditali perché diventava una cosa più speciale, perché la pizza veniva più bella a guardalla, a mangialla magari era sempre uguale anche co li ditali, però era più bella. A Capodanno se mangiava la lenticchia, l’uva che se prendeva a San Pellegrino, annavamo là co le bestie, co li biconci, era pe tutta la stagione, quanta ne potevi piglià, la mettevi a asciugà, appesa e te durava pe tutto l’anno (Sirio Coccia)

...mica se facevano li cenoni, sai a casa che facevi, il farro co li zampetti de maiale, la lenticchia pe contà i sordi, sennò li gnocchi, la pizza co li ditaletti, fatta sotto la brace, coll’anice e poi co lo ditale ce facevi tutti ditaletti. Non lo so così se faceva (Maddalena Conti)

...le pizzette col ditale, quelle se facevano co la pasta de lievito, farina, acqua, se facevano proprio a Capodanno. Ste pizzette co lo ditale erano fatte co la farina, l’acqua, lo levito, un po’ de sale (Erminia Pasqua)

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Dott.ssa
Annamaria Onori
 
 
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